Napoleone Bonaparte – l’Empereur a tavola


Napoleone Bonaparte – l’Empereur a...

di Nicoletta Arbusti

Louis-Constant Wairy (1778 – 1845) primo valletto di camera di Napoleone Bonaparte, nei suoi “Memoires de Constant, premier valet de chambre de l’empereur, sur la vie privée de Napoleon, sa famille et sa cour ” (1), scrive che Napoleone preferiva cenare da solo, velocemente e senza neppure la tovaglia, raramente un suo pasto superava i dieci minuti.
I pasti giornalieri erano due: la colazione alle 9:30 di mattina e il pranzo alle 18.
L’Imperatore amava le albicocche, le cotolette, e tendeva a ingrassare parecchio, senza per questo perdere l’armonia della figura.
Il pasto di Napoleone risultava monotono: un po’ di carne, prosciutto di Parma, montone alla griglia e pollo con sugo che “raccoglie con pane di cui è ghiotto”, e esigente sulla sua qualità.
Questa fretta nel mangiare spesso gli procurava problemi di digestione, con forme acute di congestione, seguite da vomito e gastriti.(2 Ibid.)
In pratica, non era un buongustaio!

Constant-Wairy aggiunge che Napoleone era un commensale rapido e disattento, saltava i pasti o arrivava in ritardo, mangiava usualmente con le mani, e aveva la predilezione per le zuppe di patate, fagioli e cipolle (3 Ibid.).
Molti dei cuochi che si erano alternati nelle sue cucine, in dieci, undici anni, ricevevano stipendi magri e non erano soddisfatti del loro lavoro.
A sua volta, scrive Stendhal, nella “Vita di Napoleone” (4), che: “L’epoca più fulgida della sua vita” fu la prima Campagna d’Italia (1796-1797), in cui il suo legame con l’Italia ebbe un carattere molto particolare, curiosamente anche per quanto attiene alla cucina.
In occasione della preparazione del Congresso di Modena, Napoleone, il 15 ottobre 1797, si fermò a Novellara, dove gli venne offerto un banchetto sontuoso con quarantadue portate, come scrive Andrea Belletti in “Storia di Reggio nell’Emilia”. (5)
“A pranzo si perde molto tempo, accetterò un dèjeuner ”,disse Napoleone.
Dovendo suo malgrado accettare, mangiò pochissimo, senza appetito e per tutto il tempo continuò a parlare, a fare domande e informarsi.
Nella seconda Campagna d’Italia, il 14 giugno 1800,a Marengo, vicino ad Alessandria, gli venne cucinato un pollo, passato alla storia come il pollo alla Marengo.
Quel giorno Napoleone conduce una battaglia decisiva sul campo, muovendosi continuamente per dare ordini, ed è seguito dal suo cuoco.
Le sorti della battaglia sembravano sfavorevoli ai francesi, tanto che il Generale Louis Charles Antoine Desaix ( 1768-1800), che morirà nella stessa serata, sembra abbia detto all’imperatore questa frase:” Questa battaglia è completamente perduta, ma sono le due e vi è il tempo per vincerne un’altra”. Così Napoleone tentò la sorte caricando col resto della cavalleria di Desaix, e vinse quella che sembrava una battaglia perduta.

”Fate a modo vostro, io vado a mangiare!” disse al Generale.

Francois Dunand, cuoco personale di Napoleone mandò i suoi aiutanti di cucina a cercare qualcosa nelle cascine intorno, perché gli austriaci si erano impadroniti delle provviste dei francesi.
Gli aiutanti tornarono con un piccolo pollo, uova fritte, olio, aglio, pomodori e gamberi di fiume.
Ma cosa cucinò realmente Dunand? Difficile dire perché non è facile risalire alla sua ricetta originale.
Nacque così il “pollo alla Marengo”, e Napoleone l’apprezzò talmente che divenne il suo piatto fisso dopo ogni vittoria.
Tra le versioni storiche quella di Pellegrino Artusi, nella sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”(1891) (6), e quella di Auguste Escoffier (7),nella “Guide Culinarie”(1901).
Il pollo alla Marengo ha suscitato così tanto interesse che anche la Walt Disney, pubblicò nel 1989 l’avventura a fumetti “Topolino e il pollo alla Marengo” ( libretto 1721 ), su Topolino Magazine, in cui Topolino e Pippo scoprirono la ricetta direttamente da Francois Durand.
Terminate le Campagne d’Italia, Napoleone ebbe anche la possibilità di gustare il prosciutto delle terre di Parma.
Nel 1801 il ducato di Parma e Piacenza e Guastalla facevano parte dell’impero Napoleonico e Moreau de Saint-Méry (1750 – 1819), consigliere amministratore dei dipartimenti di Parma, Piacenza e Guastalla gliene inviò una fornitura a Milano, raccomandando all’imperatore il prosciutto perché di facile digestione.
Quanto al vino, secondo lo storico Michael Broers,docente all’Università di Oxford,che a Napoleone ha dedicato diversi libri, altrettanto non sarebbe stato un vero intenditore, ne beveva poco e di una sola qualità, che allungava, quasi sempre, con acqua.
Emmanuel de Las Cases, funzionario e storico francese (1766 – 1842 ),ne il “ Memoriale di Sant’Elena”(8),cita lo Chambertin, a base di Pinot nero, un vino di Borgogna, proveniente dal territorio di Grevey, come vino prediletto di Napoleone, che lo credeva salutare.
Le bottiglie di Chambertin erano una parte immancabile delle vettovaglie a lui destinate, e venivano portate durante le campagne militari.Il Gevrey Chambertin rappresenta una delle più nobili e aristocratiche espressioni di Pinot Nero della Borgogna. Prende il nome dal piccolo comune francese posizionato all’estremità nord della zona del Côte de Nuits e, con i suoi più di 400 ettari, è tra le superfici più ampie della Côte d’Or. Una patria d’oro del mondo enologico.
Ma se Napoleone non era certo un grande bevitore, non sottovalutò mai il valore del vino.
I suoi consiglieri economici avevano progettato di estendere il vino della Borgogna per tutto l’Impero.
Nel 1814, nella prima battaglia di Brienne, vennero distribuite trecentomila bottiglie di Champagne e brandy alle truppe.
Come collezionista poi, Napoleone non fu da meno: nel Castello di Malmaison, avrebbe custodito un patrimonio enologico di circa tredicimila bottiglie. Tra le etichette: vini di Bordeaux, della Borgogna, dalla Champagne e dal Languedoc-Roussillon. Non mancavano eccellenze iberiche e italiane come il Picolit, il Vermouth, il Rosolio e i vini liquorosi provenienti dal Mediterraneo, dal Reno, dall’Ungheria, oltre a trecento bottiglie di Rum e liquori della Martinica.
Napoleone beveva volentieri invece il caffè: una tazza abbondante dopo il pranzo e una la sera dopo cena. Non era raro che bevesse the nel corso della giornata. Era anche ghiotto di orzata.
L’Imperatore prestava molta attenzione alla qualità del cibo, verificandola di persona qualora vi fossero delle lamentele.
Il miglioramento generale dell’alimentazione in Francia è d’altra parte uno dei tanti meriti che gli si riconoscono. Sapeva quanto fosse importante durante le estenuanti campagne preservare i cibi
dal deterioramento, e anche in questo campo si distinse il suo spirito innovatore.
Per troppi secoli infatti ci si era dovuti accontentare di semplici tecniche di affumicatura o salatura e così, come Primo Console, fece indire un concorso pubblico per premiare con 12.000 franchi il miglior metodo di conservazione di prodotti che potesse essere utilizzato dall’esercito.
E qui entra in scena l’inventore Nicolas Appert (1749-1841) confettiere e distillatore che, compiendo ricerche sul modo di conservare gli alimenti, vinse il premio con un particolare metodo di sterilizzazione basato sulla conservazione in bottiglie a chiusura ermetica.
Impiegato con successo durante le campagne militari, il procedimento era destinato inizialmente a prodotti liquidi come minestre e marmellate, ma l’impiego si estese presto a molti altri cibi che venivano posti in vasi di vetro sigillati con un tappo di sughero, avvolti nella tela e fatti bollire. ( 9 )
Nel 1810 Appert pubblicò “ L’Art de conserver les substances animales et végétales “( 10), una pietra miliare per le tecniche di conservazione.
Da questa pubblicazione il mondo della cucina non sarà più lo stesso, perché si realizzerà così una grande rivoluzione che determinerà nuovi orientamenti alimentari e un nuovo benessere collettivo.
E anche in questo caso Napoleone aveva saputo esprimere la sua capacità di assimilare le teorie innovative dei pensatori.

(1)Louis-Constant Wairy, Il valletto di Napoleone, ed. italiana, Feltrinelli, 2006.
(2) Ibid.
(3) Ibid.
(4) Stendhal, Vita di Napoleone, Garzanti, 2021
(5 ) Andrea Belletti,Storia di Reggio nell’Emilia, 1925, riediz. 1993.
(6) Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Ed. integrale, Giunti, 2021.
(7) Auguste Escoffier,Guide Culinarie,1901,Ed. Italiana, La guida Culinaria, Amazon, 2024.
(8) Emmanuel de Las Cases, Memorial de Ste Hélène, (8 volumi,Londra,1823 e 1840 ).
(9) Ada Corneri, Prelibatezze e curiosità nel piatto di Napoleone, Il Leone Verde, 2021.

(10) Nicolas Appert, L’Art de Conserver, ried. Menu Fretin,2017.

 

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